In questo articolo parlerò del “giuramento” ed in particolare risponderò alla seguente domanda: può un militare essere sospeso dal servizio per avere commesso un reato ed avere quindi violato il giuramento di fedeltà e lealtà prestato? La questione è particolarmente importante in quanto è chiaro che se bastasse una singola violazione del giuramento per essere sospesi o espulsi dall’Arma di appartenenza quest’ultima avrebbe un potere sanzionatorio sproporzionato.
Ma veniamo ad un caso concreto, contro un militare dell’Arma dei Carabinieri veniva mossa la seguente accusa: “Appuntato Scelto, appropriandosi di reperti, articoli di informatica e telefonia oggetto di sequestro penale e depositati negli uffici di quel Comando, utilizzava il codice IMEI relativo a uno degli apparecchi cellulari sottratti, attivando a suo nome tre utenze telefoniche’“.
L’amministrazione aveva una reazione molto dura tanto che il militare era costretto a ricorrere quindi in giudizio per l’annullamento: 1) del provvedimento con il quale gli veniva inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari; 2) del provvedimento con cui veniva sospeso precauzionalmente dall’impiego.
Va subito precisato che, con specifico riguardo al personale militare, esiste infatti un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la violazione del giuramento prestato non giustifica l’automatica irrogazione della sanzione espulsiva in modo indifferenziato restando comunque necessaria una valutazione caso per caso.
La violazione degli obblighi assunti con il giuramento prestato non giustifica quindi l’automatica applicazione della sanzione espulsiva dall’impiego perché non è necessariamente indice di carenza di qualità morali e di carattere e comunque lesiva del prestigio del Corpo.
Ciò significa che un isolato comportamento illecito può giustificare la misura disciplinare estintiva del rapporto di lavoro soltanto quando i fatti commessi siano tanto gravi da manifestare l’assenza delle doti morali, necessarie per la prosecuzione dell’attività lavorativa.
Il Consiglio di Stato, in linea con queste argomentazioni, quindi accoglieva il ricorso del carabiniere in quanto veniva ritenuto:
- che l’amministrazione incorreva nel dedotto vizio di eccesso di potere (sotto il profilo della sproporzione tra fatti contestati e sanzione applicata), in quanto il militare aveva, all’epoca dei fatti, circa trent’anni d’anzianità di servizio, e dunque una carriera la quale, pur non particolarmente “brillante” era ormai lunga e non connotata da particolari episodi di segno negativo;
- che l’Amministrazione avrebbe potuto e dovuto applicare nei confronti del militare una sanzione la quale, pur severa, non gli impedisse però definitivamente la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Viene quindi ancora una volta riaffermato che la sanzione deve essere proporzionata alla violazione commessa. Concetto tanto banale quanto spesso dimenticato dalle amministrazioni.
Avv. Giuseppe Di Benedetto