I rapporti fra superiori gerarchici ed inferiori gerarchici sono da sempre complessi. Per questo può accadere che in caso di discussione “volino parole forti” da una parte all’altra. Come deve comportarsi allora colui che viene offeso da un superiore ? Per rispondere a questa domanda voglio parlarvi del reato di ingiuria ad inferiore di cui all’art. 196 comma 2 del codice penale militare di pace. Tale comma stabilisce che: Il militare, che offende il prestigio, l’onore o la dignità di un inferiore in sua presenza è punito con la reclusione militare fino a due anni. Il terzo comma dello stesso articolo aggiunge che “Le stesse pene si applicano al militare che commette i fatti indicati nei commi precedenti mediante comunicazione telegrafica, telefonica, radiofonica o televisiva, o con scritti o disegni o con qualsivoglia altro mezzo di comunicazione, diretti all’inferiore”.
Il caso da cui prendo spunto riguarda un superiore che a seguito di una discussione vertente la effettuata sostituzione del personale precedentemente comandato di servizio disposta dall’inferiore, offendeva il prestigio l’onore e la dignità di quest’ultimo pronunciando al suo indirizzo e in sua presenza frasi del tipo “coglione, sei un lottatore di sumo, fammi vedere cosa sai fare“.
La Corte Militare di Appello, ribaltando il giudizio di primo grado, assolveva il superiore dal reato di ingiuria ad inferiore. Ad avviso della Corte di Appello, vista la causa del contrasto insorto tra i due, dette espressioni infatti non sarebbero state espressive dalla volontà di offendere l’inferiore. L’inferiore infatti, aveva poco prima destinato – senza averne il relativo potere – un marinaio in servizio di guardia allo svolgimento di altro servizio, senza avvisare il superiore che era Capo Sezione Unità e Sottufficiale di Ispezione. Da ciò la reazione del superiore verso l’inferiore. Tra l’altro la condotta di quest’ultimo era stata convalidata dal comandante del superiore in ciò verificandosi uno scavalcamento anomalo del ruolo svolto dal superiore nella gerarchia e nelle competenze funzionali. Per questa ragione, secondo la Corte d’Appello, l’epiteto “coglione”, costituiva una semplice, se pur volgare e colorita, manifestazione di dissenso in ordine a quanto accaduto.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore Generale Militare presso la Corte di Appello. Il ricorso veniva accolto.
La Cassazione afferma che la posizione di supremazia gerarchica dell’autore rispetto alla persona offesa non consente di considerare prive di contenuto lesivo espressioni volgari, anche se prive nel linguaggio comune e tra pari di effettive connotazioni offensive, in quanto esse, se rivolte a un sottoposto, riacquistano appieno il loro specifico significato spregiativo, penalmente rilevante.
La Cassazione annullava quindi la sentenza e rinviava per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte Militare di Appello.
Personalmente condivido la decisione della Cassazione in quanto è troppo comodo insultare qualcuno e poi, al fine di evitare sanzioni, cercare di fare apparire le espressioni come volgari ma di uso comune.
Cosa può fare allora il militare che non intende sopportare una offesa subita?
Deve presentare denuncia alla procura militare ed informare i superiori di colui che l’ha insultato del fatto accaduto, ciò affinché vengano presi provvedimenti disciplinari. Vi saranno quindi due procedimenti distinti a carico di chi ha pronunciato le frasi ingiuriose: quello penale promosso dalla Procura Militare e quello disciplinare interno all’amministrazione di appartenenza.
Avv. Giuseppe Di Benedetto